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Associazione Genitori e Amici di Persone con sindrome di Down

Esperienze di papà

Tratto da : Giuseppe Pontiggia , “Nati due volte” ed. Mondadori anno 2000, pp. 34-35

Ricordo il professore che, tre mesi dopo il parto, dietro la scrivania del suo studio, ci aveva rivelato la verità, ovvero quello che pensava.
Aveva riflettuto a lungo prima di rispondere, in una penombra carica di angoscia.
Non era ricorso alla sfera di cristallo.
Più esperto di medicina e di uomini di tanti suoi colleghi, ci aveva detto, con voce pacata e ferma, guardandoci negli occhi:” Non posso prevedere come diventerà vostro figlio. Posso fare alcune ipotesi ragionevoli [. .] Però posso sbagliarmi.
Voi dovete vivere giorno per giorno, non dovete pensare ossessivamente al futuro. Sarà un esperienza durissima, eppure non la deprecherete. Ne uscirete migliorati.
Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda dipende da voi, da quello che saprete dare.
Sono nati due volte e il percorso sarà più tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita.
Questa almeno è la mia esperienza. Non posso dirvi altro.

 

 

Centro al primo colpo !
Quando mi hanno chiesto di raccontare la mia esperienza di padre di un figlio con sindrome di Down in un paio di pagine , ho pensato che fosse quasi impossibile immortalare tutte le emozioni di 11 anni di vita in poche righe…mi ci vorrebbe un libro e forse in un domani non troppo lontano questo mio desiderio potrebbe realizzarsi .
Ma per il momento ho deciso di contribuire a questa iniziativa , muovendomi tra i momenti più intensi e decisivi della mia esperienza di padre .
Ho deciso di mettermi veramente a nudo per un motivo veramente valido:
Ogni vita e’ straordinaria e unica in se stessa ed ogni nuovo genitore deve avere la possibilita’ di rendersene conto prima possibile , anche con l’aiuto e la testimonianza di chi ha vissuto prima questa esperienza.

Sin da molto giovane e forse gia’ da bambino , ho sentito dentro di me il desiderio di avere dei figli , di essere prima marito e poi padre , di avere una famiglia tutta mia e come la maggior parte delle persone di trovarne in questo la felicita’.
Essere felici e’ l’ambizione di ogni essere umano , e’ intrinseca nell’uomo stesso ma nel momento in cui decidi di essere genitore , la tua felicita’ punta in una direzione alternativa , il tuo ego viene messo in secondo piano , al primo posto c’e’ solo il bene per la creatura che un giorno sara’ tuo figlio.

Noi maschi pero’ differenziamo un po’ dalle donne in un particolare che non e’ assulutamente da sottovalutare. Infatti mentre in quest’ultime prevale un istinto naturale di maternita’ , e meno male che e’ cosi’ , a noi uomini succede quasi sempre un effetto automatico e non controllabile: desiderare un maschio, almeno come primogenito!

Certo diciamo sempre , l’ importante e’ che sia sano e di questo ne siamo convinti ma nel nostro piu’ intimo inconscio , il desiderio freme , freme e freme , mentre il pensiero vola la’ dove prima non aveva mai osato.
Incominciamo già dal pensiero a volere realizzare nei nostri figli i nostri sogni e le nostre aspirazioni, in qualche modo mancate.
Vorremmo in pratica che i nostri figli evitassero i nostri errori e facessero centro al primo colpo !!!
Che fantastica intuizione , peccato solo si reveli inesatta!!
Cosi non nascondo che alla notizia che aspettavo un figlio , la felicita’ era doppia se non tripla , finalmente realizzavo il mio desiderio di paternita

E per lo piu con un figlio maschio. Centro al primo colpo!
La vita era sempre stata molto generosa nei miei confronti:la salute e la passione per lo sport mi avevano portato ad amare molto uno sport incredibile come l’hochey su ghiaccio mentre nello stesso periodo una grandissima passione rubava una parte del mio cuore: la musica e in particolare quella degli u2.
Incomincio parallelamente a portare avanti la mia seconda passione e al termine del mio sviluppo gli amici con cui suonicchiavo si accorsero della mia voce , istigandomi ad iniziare un avventura da cantante.
Dal quel giorno non smisi piu di cantare e mentre la musica diventava parte dominante della mia vita , mi ritrovai all’eta’ di 32 anni nel pieno delle mie passioni , ad aspettare finalmente l’erede in cui riposare ogni mio piu piccolo segreto.
A lui avrei svelato sin da piccolo tutte le astuzie e le tecniche del mio sport, avrebbe imparato a pattinare e a muovere la stecca con grande abilita’ sin dai primi anni….
Forse avrebbe frequentato il conservatorio, impadronendosi di tutte le sfumature e di tutte le magie che solo la musica puo’ dare.
Insomma avrebbe imparato la vera musica e si sarebbe fatto notare non solo per un banale talento naturale ma anche per una spiccata preparazione a me mancata!
Per dirla in breve , avevo riposto in mio figlio tutti i miei desideri e probabilmente , nel mio piu’ intimo erroneamente avevo gia’ generato
Non un figlio ma un mio clone senza difetti , in pratica un Simone n.2…….il desiderio era grande mentre l’ambizione ancor di piu’.
Tutto era chiaro nel mio cuore , tutto era programmato ma non avevo calcolato un piccolo particolare : che Dio ha piu’ fantasia di noi !!
Infatti il 19 settembre 2003 alle ore 9.29. , presso l’ospedale S.Maurizio di Bolzano , apparentemente tutti i miei sogni e desideri venivano cancellati per sempre: mio figlio aveva la Sindrome di Down!
Niente Hochey , niente Musica , niente maschio tanto desiderato….

In questo momento Mentre scrivo sono passati oltre 11 anni da quel giorno e sapete una cosa ?
Non posso descrivervi per niente quel bambino che avevo desiderato ,semplicemente perche’ non e’ mai nato !
Quello pero’ che posso descrivervi molto bene e la straordinaria storia di Mio figlio Samuel.
Non gioca a Hochey in seria A e non frequenta nemmeno il conservatorio….fa molto di piu ‘ tutti i giorni si sveglia , mi guarda sorridendo e mi dice:”Papa’ io ti amo”.
Samuel ride -gioca-scherza-parla-prende in giro, Canta, scia, nuota,- va in bicicletta, si arrampica, balla, scrive, legge , prega e mille altre cose ma sopratutto riesce a dare alla sua famiglia quella dose quotidiana che solo le persone con da sindrome di Down hanno abbondantemente di natura : la Felicita’ !
La sua voglia di vivere e di socializzare e’ talmente sorprendente che mi ha spinto nel 2014 , grazie alla collaborazione con l’allenatore delle giovanili del Bolzano calcio -Alessandro Varner , a dare vita ad un progetto chiamato “Yankees bolzano calcio” ovvero una squadra con ragazzi down , disabili e normodotati.
Lo scopo naturalmente e’ quello di creare un gruppo di veri amici che nelle loro diversità si sentano tutti uguali e speciali a modo loro !

Oggi militano circa 12 ragazzi che si allenano una volta la settimana presso il campetto Druso in estate e in palestra nei mesi invernali e già diverse squadre della nostra regione si sono offerte per organizzare degli incontri con l’unico scopo di dare un segnale educativo e di esempio integrativo ai propri atleti , sopratutto tra i giovanissimi.
E vorrei terminare riportando una vecchia leggenda che dice che le anime delle persone disabili , si sono scelte prima della nascita i propri genitori , sicuri che nonostante le difficoltà solo quei genitori li avrebbero amati ed accettati in quel modo!
Per questo ringrazio mio figlio per avermi scelto, per avermi dato fiducia, restando nella consapevolezza che questo tipo di amore, pur anche nelle sue multiforme varietà , sia tutto ciò di cui avevo veramente bisogno per sentirmi un “Padre” Felice !!

Ti invito a visitare la pagina Facebook di Samuel all’indirizzo: https://www.facebook.com/samuelpantano2003

la pagina degli Yankees: https://www.facebook.com/yankeesbolzano

E sono sicuro che anche a te un giorno tuo figlio ti sorprenderà come solo i figli sanno fare e a modo tuo scriverai……….”Centro al primo colpo!”

Un abbraccio

Simone

PS. Ora Samuel ha 13 anni e io l’ho sentito suonare la batteria! Simone hai fatto proprio centro!

 

 

Ma, prima di tutto, vi è Andrea con il suo sorriso

Cari genitori,
cosa si prova quando nasce un bambino con la sindrome di Down?
Be, devo dirvi subito che mettere nero su bianco i propri sentimenti, non è cosa facile. Io provo a raccontarvi con semplicità, senza pretesa, alcune mie sensazioni, alcuni miei ricordi.
Luca e Andrea sono nati in il 12 dicembre 2003 all’Ospedale Civile di Bolzano. Quella mattina, mia moglie ed io, siamo stati accolti molto bene dal personale medico e paramedico dell’ospedale. Poi, dopo i preparativi di routine, via in sala operatoria per il parto.
L’attesa, relativamente breve, ed il relativo nervosismo, sono stati magicamente interrotti dall’infermiera quando è uscita con due teneri fagotti, i miei figli, e me li ha posti in braccio. Ricordo ancora oggi le mie prime, sciocche, domande: “come stanno i pargoletti?”, “come è andato il parto?”.
Avete presente quando si accende una lampadina di pericolo nel vostro cervello? Ecco, la mia prima lampadina si è accesa proprio appena terminata la mia domanda. La risposta dell’infermiera “tutto bene, poi passeranno i medici a parlarle” mi è sembrata breve, concisa, fredda. Insomma niente “vivissime congratulazioni, pacche sulla spalla, sorrisoni di circostanza, bottiglie di spumante che si stappano, ecc.”, come si vede nei film e come mi ero immaginato. Ma, con i bambini in braccio, la lampadina, come si è accesa, si è anche spenta. Finalmente, dopo tanta attesa, potevo tenere in braccio i miei figli. Una sensazione strana per un padre, una sensazione meravigliosa per chi non ha portato in grembo i propri figli, per chi non li ha sentiti crescere nel proprio corpo. Poi me li sono goduti, osservandoli all’interno dell’incubatrice. Carini, diversi (ovvio, mi sono detto sono eterozigoti). Luca più magrolino, più pallidino, con capelli più scuri. Andrea più paffutello, più roseo e con i capelli chiari. Entrambi belli: non poteva essere diversamente, erano miei figli. Cercavo delle somiglianze con me, con mia moglie, con i parenti … di sindrome, ancora, neanche l’ombra.

Poi le telefonate ai nonni, agli zii, ai parenti più prossimi e agli amici più cari per avvisarli che tutto era andato bene. Ed in effetti tutto era andato bene: nessuna complicazione durante il parto, mia moglie stava bene, i bimbi anche: li avevo visti, tenuti in braccio, sentito i loro vagiti. Ero al settimo cielo. Ed è così che dovremmo vivere qualsiasi nascita: con gioia, con emozione, con stupore, con meraviglia per aver dato la vita a due splendide creature e ….non come mi sono sentito poi!

Quel momento idilliaco si è presto interrotto: la seconda lampadina di pericolo si è accesa quando l’infermiera mi ha chiamato in disparte per il colloquio con i medici all’interno dello studio. Perchè all’interno dello studio, perché con il medico? Non avevo notato nei confronti degli altri genitori lo stesso comportamento e mi era sembrato, per un momento, strano. Ma anche tale pensiero com’era venuto si era allontanato. Le parole attente, soppesate, quasi sussurrate con gentilezza dalla dottoressa “non siamo sicuri ma probabilmente Andrea ha la sindrome di Down” piombarono su di me come un macigno insopportabile. Fui colto dallo sconforto, gli occhi mi si riempiono di lacrime, un nodo insopportabile mi prese la gola, non riuscivo quasi più a parlare, piansi … pensai (poco e male) e mi dissi: “non è possibile” …. “perché proprio a noi”!

Oggi, a distanza di qualche annetto non posso che aver compassione per il sottoscritto, per quei pensieri poco edificanti appena espressi e per altri che taccio per rispetto e per mia vergogna! E’ proprio vero: si ha paura delle cose che non si conoscono. Ed io della sindrome di Down non conoscevo niente! Non conoscevo la tenerezza, la simpatia, la cocciutaggine, il sorriso meraviglioso, l’ostinazione, le risate fragorose e contagiose di Andrea. Non conoscevo le difficoltà ma anche le risorse di Andrea. Non conoscevo niente!

Il mio primo invito a voi genitori che leggete queste mie poche e insignificanti righe è pertanto questo: non soffermatevi su quel cromosoma in più, non abbiate paura! Andate oltre, vedete, cercate, scoprite quotidianamente la magia che c’è nei vostri figli!

Capito con l’aiuto delle dottoresse e delle infermiere che Andrea stava bene, fatti salvi i controlli di routine, il pensiero è andato a mia Moglie. Come dirglielo? Come darLe questa notizia dopo dieci anni che aspettavamo di avere i nostri figli? Così ho chiesto ai medici di aspettare almeno un giorno per darle la notizia di Andrea (notate? Oggi non ho usato, accanto alla parola notizia, l’aggettivo triste! A suo tempo l’avevo usato eccome!!) in modo tale che anche lei li potesse guardare, tenere in braccio, coccolarli, allattarli, ecc.. in modo tale, cioè, da costituire quel feeling che esiste solo fra madre e figlio!

E così è stato. I medici hanno fortunatamente assecondato il mio desiderio. Sono poi seguiti giorni di reciproco sconforto, di pianti, di incoraggiamenti vicendevoli, di false speranze : “se anche i medici aspettano gli esami per confermarci la notizia forse Andrea non ha la SD”. Poi, piano piano, un po di luce ha iniziato a far capolino nel buio totale dei nostri cuori e cervelli. I medici ci hanno chiesto se volevamo incontrare delle persone che avevano già vissuto la nostra esperienza, insomma dei genitori di bimbi con SD. A noi, anzi, soprattutto a Maria è sembrata una bella idea. E’ così che abbiamo conosciuto delle persone meravigliose che fin dal primo momento ci hanno tranquillizzato, che si sono prodigate a starci vicino, a farci sentire meno soli, che ci hanno lasciato il loro recapito per chiamarli qualora ne avessimo avuto bisogno. Inoltre ci hanno lasciato gli indirizzi delle associazioni che seguono la SD perché, anche li, avremmo potuto trovare riferimenti e persone competenti. E di bisogno ne avevamo e ne abbiamo tutt’ora, eccome.

Quindi, secondo la mia breve esperienza, un errore da non fare è quello di isolarsi, di non voler accettare la situazione. Rapportarsi con gli altri, scambiarsi i vissuti, le emozioni, le difficoltà ma anche i successi, le soddisfazioni, è fondamentale. Prima di tutto per sentirsi in pace con noi stessi ma anche per stare bene con gli altri e con i nostri meravigliosi figli. E questo ve lo dico di tutto cuore perché devo confessarvi che, per un certo periodo, non riuscivo più a parlare con nessuno, mi sembrava che le cose di tutti i giorni non avessero più senso e uscire da tale situazione non è certo stato facile. Anche perché ho sempre ritenuto che fra i vari compiti dell’uomo vi sia quello di supportare, di aiutare, di incoraggiare, insomma quello di essere la spalla per il proprio partner. Di conseguenza il mio ruolo, all’interno della casa, era quello di ostentare sicurezza che nemmeno io avevo, di non mostrare sentimenti di tristezza di cui però il mio cuore era pieno. Che fatica venirne a capo! E da solo, veramente, sarebbe stato impossibile. Quindi coraggio, non buttiamoci a terra ma rimbocchiamoci le maniche e buttiamoci nella mischia. Vedrete che qualcosa otterremmo.

Oggi, dopo 11 anni dalla nascita di Andrea e Luca, posso dirvi sinceramente che la sindrome di Down passa spesso in secondo piano. Ciò non vuol dire che le difficoltà non esistano. Ma, prima di tutto, vi è Andrea con il suo sorriso, con le sue fragorose e contagiose risate, con la sua allegria e voglia di vivere, di provare e di sperimentare, con la sua voglia di ascoltare musica ad alto volume e di cantare a squarciagola anche se stonato. Prima di tutto vi è Andrea, anche se a volte è più cocciuto di un mulo, anche se a volte non smette di rompere le scatole a suo fratello, anche se a volte ti mette alla prova, eccome, per stupidaggini.

Uso le parole che recentemente ho letto su un articolo di qualche rivista di cui non ricordo il nome: i miei figli sono stati un incredibile “amplificatore della vita”. Andrea, assieme a Luca ovviamente, mi ha permesso di scoprire un mondo di emozioni, di vedere e provare sensazioni (belle, brutte, inaspettate, ecc.) che mai avrei immaginato, di vedere le cose (anche quelle più banali) sotto una luce diversa. I figli, oltre a farti perdere le staffe, ti fanno assaporare ogni istante della vita in modo diverso, sono come il sale che da sapore e significato alla nostra esistenza. Ti fanno scoprire il mondo e vedere le cose con gli occhi ingenui ma anche più sinceri dei bambini, ti fanno riassaporare i profumi della terra bagnata da un acquazzone, vedere gli animali nelle nuvole del cielo, ti fanno riscoprire che c’è bisogno di tenerezza, umanità, carità e fratellanza.

Chiudo dicendovi o dicendomi o, meglio ancora, ricordandomi (ogni tanto ne ho ancora bisogno) che se ci apriamo alla vita, tutte le difficoltà possono essere affrontate e superate di volta in volta con serenità e con l’aiuto di chi ci circonda.

Uso questo mezzo, per ringraziare ancora e di cuore il personale dell’Ospedale di Bolzano, le persone che in quei momenti di disorientamento ci sono state vicine (e che lo sono tutt’ora) e non per ultimo Luca, di cui si parla sempre poco ma che, come tutti i fratelli di persone speciali, lui stesso è super speciale e super fantastico e merita l’amore più grande di questo mondo.

Un abbraccio a tutti quelli che per qualsiasi motivo leggeranno queste poche righe.

Stefano, papà di Andrea e Luca.

 

Descrivi un tuo famigliare.
Tratto da un tema in seconda lingua (tedesco) tradotto in italiano.

Mio fratello si chiama Riccardo ed ha 5 anni. E’ il più piccolo della famiglia e anche il più coccolato.
Per la sua età è un po’ piccolo ma di certo non magro, ha occhi e capelli scuri.
I suoi lineamenti del viso lo rendono caro e simpatico. Non piange quasi mai, solo quando un componente della famiglia gli da fastidio.
Ci mette più tempo ad imparare qualcosa rispetto agli altri bambini e con difficoltà.
Non sa ancora parlare, dice solo qualche parolina, ma tenta lo stesso di farsi capire.
Non sa saltare o nuotare ma spesso giochiamo a calcio insieme sia in casa che al parco.
Ha la passione per i videogiochi e gli piace andare in giro.
Riccardo nel nostro quartiere è molto conosciuto grazie alla sua innocenza di salutare ogni persona che incontra.
Io e Riccardo abbiamo un bel rapporto.
Riccardo ha un problema, ha la sindrome di Down, ma a me piace così com’è.

Filippo (14 anni)

Lettera a mio figlio

Caro piccolo Marco,
è passato un anno dalla tua nascita e in quest’anno è successo tutto ed il contrario di tutto. Per prima cosa io e la tua mamma dobbiamo chiederti scusa…scusa per non aver festeggiato il giorno della tua nascita, scusa per i cattivi pensieri che ci hanno balenato in testa in quei primi giorni di ospedale, scusa per non aver dato risalto e comunicato, con la dovuta gioia, la tua nascita ai parenti. Ricordo ancora la tristezza con cui la comunicavo telefonicamente a tutti. Il giorno della tua nascita doveva essere un giorno di gioia, quella gioia mista a orgoglio che ogni genitore dovrebbe provare guardando il nascituro. Nel tuo caso, figlio mio, quella gioia non c’è stata. Ero fuori dalla sala parto e subito, visto l’andirivieni di medici, ho capito che qualcosa non andava. Mi hanno chiamato all’interno ed il personale, in modo gentile ma professionale, ti ha mostrato ai miei occhi ed è li che ho incrociato il tuo volto e per la prima volta ho visto i tuoi occhi a mandorla, le spalle e il collo largo, ma quasi inesistente, e quel nasino schiacciato e piccolo. L’infermiera ed il medico, con gentilezza e tatto, mi hanno comunicato la tua patologia: “trisomia 21” o sindrome di Down. Il mondo è caduto!! Ma come noi ti mettiamo al mondo e aspettiamo la tua nascita e tu ci dai il benvenuto con questa cosa?? Le prime domande che mi sono posto sono state: cosa ne farò di te? Cosa ne farai della tua vita? Cosa ne sarà di te ed egoisticamente cosa di noi? Chi lo dice adesso alla tua mamma che sarà di là, in sala parto, aspettando di stringere al petto il desiderato figlio perfetto? Hai fatto questa sorpresa a noi, che per te avevamo progetti a lungo termine, e che tu hai osato rovinarli. La mamma ha avuto una bellissima gravidanza, che tutti definirebbero serena e tranquilla, nessun segno, nessun sintomo e nessuna anomalia risultava dagli esami fatti e dalle ecografie. Devo ammetterlo per i primi tempi in te non vedevo mio figlio ma solo i segni della Trisomia…ogni tua espressione, ogni tuo movimento mi ricordavano il tuo essere diverso; quante volte, di notte, ti guardavo scrutando il tuo volto chiedendomi se forse non si fossero sbagliati ma poi, fissandoti ancora, notavo il taglio degli occhi, i piedini “a sandalo”, le espressioni della bocca e tornava la certezza. Mentre la mamma era in ospedale io ero a casa con i tuoi fratellini cercando di nascondere loro il mio stato d’animo, non volevo deluderli dicendo che loro fratello era nato disabile…o forse era un modo per eludere la realtà cercando la normalità. Dopo 20 giorni di ospedale, vissuti tra angoscia per gli esiti degli esami e tristezza per il tuo essere diverso, ti abbiamo portato a casa. Lì i tuoi fratellini ti hanno accolto con una semplicità e purezza che mi ha fatto pensare..anche oggi per loro sei il fratello lento e pigro, quello che non gattona o striscia, ma che sta lì a guardarli e a sorridere con loro e loro ti hanno accettato normalmente con le tue caratteristiche forse più e meglio dei tuoi genitori. Dopo il tuo arrivo a casa è iniziato il confronto con la burocrazia fatta di persone che riescono a capire e risolvere i problemi e altre che…lasciamo perdere. E’ iniziata la corsa a portare documentazione tra un ufficio pubblico e l’altro, alla richiesta di certificazione di certificati già rilasciati da organi statali con la beffa di dover firmare anche dichiarazioni di responsabilità su certificazioni di certificati consegnati in originale. Ora rido, poco, quando penso ad alcuni che guardandoti per certificare la tua malattia alla fine chiosavano con “speriamo che guarisca” come se un anomalia genetica possa guarire. Fortunatamente su questo percorso, ed è solo all’inizio, ho dapprima incontrato un Parroco disponibile ad ascoltare le mie parole e, non mi vergogno a dirlo, consolarmi mentre piangevo la nascita di questo figlio imperfetto. Pensa che la prima volta che mi sono sentito orgoglioso di tè è stata quando Lui mi ha chiesto “suoniamo le campane a festa per la nascita? Mettiamo il fiocco fuori dalla chiesa?” ho accettato. Il suono delle campane mi è rimasto dentro come un coro che cantava la felicità del tuo essere al mondo e li mi sono sentito, per la prima volta orgoglioso e felice di te, mio figlio. Poi sono venuti i parenti, i tuoi nonni ormai ti adorano e un associazione di persone valide come l’AGBD di Marzana, con le loro alte professionalità, e li abbiamo incontrato altre famiglie con cui confrontarci meravigliandoci di come in nostro vissuto fosse simile a quello degli altri genitori.
Grazie a te ho capito che la vita va presa più con calma, con te ogni nuova conquista, come il rotolare da solo o lo stare seduto o l’afferrare gli oggetti o il guardarmi mentre parlo, è una festa ed una gioia che altri genitori, come noi con i tuoi fratelli, non possono capire perché con i figli “normali” è un normale passo del crescere e non una conquista ottenuta dopo mesi di fisioterapia e ginnastica. Piccolo, non chiedermi mai di accettare quello che hai, non lo potrò mai accettare, ma posso dirti di aver accettato te per quello che sei, mio figlio. Ora, sta a noi potenziare al massimo le tue possibilità, nel rispetto dei tuoi limiti e dei tuoi tempi, per renderti, nel tuo futuro, il più autonomo possibile. Ai genitori che avranno questa “sorpresa”, dopo il parto, posso solo dire che è normale ed umano, secondo me, essere rammaricati per la malattia del proprio figlio ed avere pensieri egoistici su quanta libertà e tempo ci sottrarrà un figlio disabile ma poi il tutto, o almeno parte di tutto, verrà ripagato dai suoi sorrisi ed ora, a quasi un anno di distanza, posso dire che non ti cambierei con altri. Ora non ti montare la testa e ti chiedo sin d’ora scusa perché cadremo ancora nello sconforto chiedendoci perché sia successo a te/noi ma prometto, nei limiti della condizione umana, di non darlo a vedere. Grazie ai parenti ed amici per esserci stati vicino in alcuni momenti delicati e, spero, di avervi anche un domani quando sicuramente ne avremo bisogno. Concludo augurando un nuovo anno pieno di serenità a tutte le famiglie con persone disabili, con patologie anche più gravi di quella del mio piccolo. Ai genitori dei bimbi “normali”, chiedo solo che in famiglia venga spiegata e si parli dell’esistenza di bimbi più lenti o “diversi” così da far capire ai propri figli, una volta grandi o in età scolare, che un bambino con disabilità non è un problema ma un arricchimento per tutti perché, la paura più grande per un genitore non è la disabilità del figlio ma il vuoto, la solitudine, l’incomprensione e lo scherno che può ricevere dal mondo dei normali. Ad alcuni vorrei dire che i figli “sani”, come i miei primi, sono stati fortunati a nascere cosi e la disabilità, qualunque essa sia, non è un morbo che si possa passare con uno starnuto di questo tranquilli. Se i vostri/nostri figli, di qualunque età, giocano tra loro lasciate fare perché, finchè avranno la spensieratezza e l’intelligenza di non discriminare, avranno il merito di far sentire un “diverso” come una persona “normale”, comportamento che invece vede sconfitti molti adulti.
Grazie a mia moglie nonché tua madre per la costanza e l’amore con cui ti segue, e segue, tutti noi sei una mamma e compagna speciale.
Un grosso bacio e tanti auguri per il tuo primo compleanno .
il tuo papà